Quella di Luciano Vivolo è una storia di enormi successi: la Vivolo S.r.l. oggi è infatti un nome di riferimento per l’Alta Moda internazionale per quanto riguarda la produzione di dettagli in pelle, patch, etichette, cinturini, cartellini, fibbie, semilavorati per la pelletteria e per le calzature e vanta fra i suoi clienti brand del luxury fashion come Giorgio Armani, Balenciaga, Bottega Veneta, Burberry, Brunello Cucinelli, Chanel, Dior, Fay, Gucci, Tom Ford, Hermes, Ralph Lauren, Loewe, Alexander Mc Queen, Moncler, Moschino, Saint Laurent, Tod’s, Louis Vuitton, solo per citarne alcuni. Ma questi risultati sono arrivati grazie al coraggio, alla visione e allo spirito di sacrificio di un imprenditore che ha saputo mettersi in gioco totalmente, lasciando da giovanissimo, Bagnoli Irpino, il paese in cui è nato (un comune di nemmeno 3000 abitanti in provincia di Avellino, in Campania) e investendo le proprie energie e ogni tipo di sicurezza per inseguire un sogno che ha saputo trasformare in realtà. Oggi Vivolo è un brand squisitamente “made in Italy”, ma con un profilo internazionale, che vanta una produzione di 8 milioni di pezzi all’anno e un centinaio di dipendenti, costantemente in crescita e in evoluzione, grazie alla ricerca incessante di idee, materiali e tecnologie all’avanguardia.
Si dice che dietro a un grande uomo ci sia sempre una grande donna: in questo caso dobbiamo proprio dire “al fianco”.
È vero: mia moglie Marianna, che porta il mio cognome perché siamo cugini alla lontana, mi è accanto da sempre, sia come compagna di vita sia nell’attività: anzi si può dire che sia partito tutto da lei. Quando eravamo giovani e appena sposati, per arrotondare lavoravamo la pelle per una conceria. Un giorno la tutina di mio figlio minore Salvatore si ruppe sulle ginocchia e, non potendo affrontare la spesa di un nuovo acquisto, a mia moglie venne l’idea di ritagliare e applicare delle pezze fatte con gli avanzi delle lavorazioni. Io ne presi una manciata, tracciai e tagliai la toppa e poi la applicai: senza saperlo avevamo mosso il primo passo verso il nostro futuro.
E il secondo qual è stato?
La Signora Rosa, una merciaia di Bologna. Dato che a scuola tutti avevano apprezzato le toppe di mio figlio, ne produssi altre 50 e le portai nella merceria di via della Foscherara. Spiegai alla proprietaria di cosa si trattasse e come applicarle e le dissi che gliele avrei date a mille lire al paio e che, se non fosse riuscita a rivenderle, avrebbe potuto ridarmele senza pagarmi. La sera dopo la Sig.ra Rosa si presentò alla mia porta con 50.000 lire e io capii che avevo avuto un’intuizione vincente.
E così arriviamo al terzo step: il Corriere della Sera.
Vedendo che le mie toppe cominciavano a essere molto richieste in tutta la città di Bologna, decisi d’inviarne alcune alla redazione del Corriere, proponendone l’utilizzo come gadget da inserire all’interno delle loro riviste. Dopo una quindicina di giorni venni convocato da Angelo Rizzoli in persona che me ne ordinò due milioni. Da lì ci fu una vera e propria esplosione nelle vendite e nella richiesta e il mercato venne invaso anche dalla concorrenza, che fece scendere i prezzi, dato che purtroppo non le avevo brevettate.
Nonostante i competitors, siete cresciuti in modo esponenziale e avete aperto un nuovo Head Quarter a San Lazzaro di Savena (BO). Cosa rappresenta per lei?
Si tratta di un’opera architettonica molto importante, costata 20 milioni di euro: un edificio di oltre 10.000 metri quadrati realizzati attraverso un recupero sapiente e attento di una struttura preesistente e con un magazzino di centinaia di migliaia di metri quadrati di pelli pregiate, al cui interno sono ospitati 100 macchinari tecnologicamente avanzatissimi. Per me rappresenta in primo luogo la continuità, perché tutti i miei figli (Salvatore, Eloise, Luciana e Matteo), pur essendo laureati e potendo scegliere qualsiasi altra strada, hanno deciso di seguire l’attività di famiglia, e poi la consacrazione del lavoro e della fatica di tutta una vita. E per finire questo spazio è un’oasi di benessere per me e per chi ci lavora: ho persino voluto piantarci dei faggi, che sono gli alberi della mia infanzia in Irpinia. Appena si entra si viene avvolti dalla bellezza e si percepisce l’amore con cui l’abbiamo studiato e realizzato, confrontandoci continuamente con gli architetti perché non fosse solo all’avanguardia, ma riflettesse anche quello che siamo e quello a cui diamo importanza. Ho voluto che ci fosse tanto verde, per esempio, perché lavorare non è sempre facile, ma farlo in un luogo piacevole e immersi nella natura aiuta a sentirsi meglio e ad abbassare il livello di stress.
Che importanza ha la ricerca per voi?
È fondamentale: giriamo costantemente il mondo per trovare idee e materiali innovativi da proporre ai nostri clienti, da utilizzare per realizzare i nostri accessori e per creare delle collezioni uniche. Visitiamo senza sosta fiere, mercatini e botteghe per scoprire le novità più interessanti offerte dal mercato mondiale, da importare, e magari migliorare, grazie alle nostre tecniche. Possediamo anche un archivio storico che i maggiori brand del fashion mondiale vengono ad ammirare e a consultare per trarre ispirazione, perché la moda è creatività ma anche ciclicità.
“Impronta Zero”, di cosa si tratta?
È la nostra “linea vegan”, in cui vengono utilizzati solo materiali rigorosamente di origine non animale come banane, pere, legno, mele, cactus, uva, etc. Si tratta di capsules in continuo sviluppo, alla cui base vi è l’attenzione all’ambiente, su cui impattiamo il meno possibile, grazie anche all’utilizzo di materiali riciclati e riciclabili, organici, cruelty/solvent e chrome-free.
La tendenza del mercato è questa?
In realtà no: dopo alcuni anni di netto allontanamento dalla pelle, ora sono pochi i marchi “puristi” come Stella McCartney, per il resto si assiste a un ritorno al cuoio, sia da parte dei brand sia dell’acquirente finale.
Attenzione all’ambiente, ma anche alle persone.
Sì, chi lavora con me trova sempre la porta aperta: io arrivo alle 7 del mattino e vado via alla sera alle 9 e chi ha bisogno di parlarmi, anche di problemi non riguardanti il lavoro, sa dove trovarmi e ha la certezza che verrà ascoltato. Per me loro non sono numeri, ma persone (l’85% sono donne con un’età media di 30/31 anni), che crescono all’interno dell’Azienda, dove scelgono di rimanere tendenzialmente per tutta la loro vita professionale. Questo turn over bassissimo e il fatto che la mia famiglia al completo contribuisca ad alimentare la nostra storia umana e professionale, rappresentano per me una grande fonte di soddisfazione e la conferma che ho creato qualcosa di bello e di “vero”, di cui ognuno si sente parte integrante.
E poi ci sono i giovani, per i quali ha istituito anche un Premio. Con l’Accademia delle Belle Arti di Bologna abbiamo realizzato un Premio per stimolare la creatività giovanile: finora è stato in denaro, ma stiamo pensando di trasformarlo in borse di studio, che permettano anche a chi ha difficoltà economiche, come le ho avute io all’inizio, di poter studiare. È un modo per dare loro fiducia, credere nel futuro…e magari scoprire anche nuovi talenti da inserire nella nostra squadra.
Questo attaccamento alle persone lo esprime anche verso le sue radici, lei infatti non ha mai dimenticato l’Irpinia.
Sull’edificio di San Lazzaro sventolano quattro bandiere: la seconda è quella di Bologna, la terza è dell’Italia, la quarta dell’Europa, ma la prima è il gonfalone di Bagnoli Irpino. A Bagnoli è custodito il mio passato, ci sono gli amici storici, che ho
appena riunito in una festa a cui ha partecipato tutto il paese. Volevo omaggiare la mia terra, che mi ha gratificato con una targa celebrativa da parte dell’amministrazione comunale: a suggellare un legame reciproco che non si è mai interrotto. Sono partito che non avevo nulla, se non gli affetti e la fiducia di chi credeva in me; oggi che la situazione è cambiata, voglio condividere con loro la mia gioia.
Un altro traguardo raggiunto: la tenuta di Sasso Marconi.
Quando mi è stato proposto l’acquisto di questo terreno sapevo che si trattava di un territorio eccezionale per la produzione del vino, ma la realtà ha superato le aspettative: oggi possiedo 6 ettari di vigneto, 2.000 ulivi e 1.000 noccioli d’Alba e ho cominciato la produzione dei Bianchi Chardonnay e dei Rossi Cabernet Franc e Sauvignon con etichetta “Luciano Vivolo”, su cui il nostro enologo senese si è espresso definendoli ”i migliori vini che abbia mai sentito in Emilia Romagna e perfino meglio di alcuni Rossi di Bolgheri”.
Ma non è finita qui, dato che in progetto ci sono anche un hotel e un ristorante.
L’area è molto vasta e bellissima e, all’interno, sono presenti due edifici del 1992 da cui ho intenzione di ricavare 10/12 suite, un ristorante di alto livello e una cantina di prestigio, che ospiterà, chiaramente anche le mie produzioni. Ci stiamo già lavorando con gli architetti, un passo alla volta, perché io sono partito dalla povertà assoluta e ho imparato a fare le cose con calma e con attenzione, per non rischiare di perdere ciò che ho guadagnato con tanti sacrifici.
E le cisterne?
Quello è un altro progetto bellissimo! A Bologna, in Viale Aldini, sotto cui passava un acquedotto romano di 2400 anni fa, ho acquistato due cisterne cilindriche dell’acqua potabile, fuori terra e ormai dismesse, che sto recuperando per donare loro una seconda vita. In una vivranno i miei figli Matteo e Luciana e nell’altra realizzerò degli appartamenti per ospitare amici e clienti, in un contesto davvero unico.
Lascio Luciano travolta dalla sua energia, dalla piacevolezza di questa parlata che ormai ha acquisito la gioiosa cadenza emiliana, con la consapevolezza di aver conosciuto un uomo che ha saputo diventare un grande imprenditore, senza mai perdere di vista i valori importanti e senza rinnegare il passato; anche quello degli edifici che acquista e non demolisce, ma anzi ristruttura con rispetto e cura, poiché li riconosce come la base fondamentale del suo presente e di un futuro che, ci si può scommettere, sarà pieno di novità, bellezza…e umanità.
Articolo pubblicato su Irpinitaly Ottobre/Novembre 2023.